Il pensiero di John Maynard Keynes
John Maynard Keynes, (Cambridge, 5 giugno 1883 – Tilton, 21 aprile 1946), economista e padre della macroeconomia. Formò le sue idea basandosi sulla c.d. economia del benessere, cioè una disciplina che studia le ragioni e le regole di fenomeni sociali al fine di formulare soluzioni tali da tendere ad una situazione di ottimo sociale. Senza dubbio, Keynes è e rimane il più influente tra gli economisti del XX secolo, ed il più “dimenticato” dalle e nelle politiche economiche vigenti all’interno del sistema giuridico imposto denominato Unione Europea. I contributi Keynes alla teoria economica hanno dato origine alla “rivoluzione keynesiana“: ha sostenuto la necessità dell’intervento pubblico statale nell’economia reale, con misure di intervento decise dalle politiche di bilancio e monetarie, qualora un’insufficiente domanda non fosse riuscita a garantire la piena occupazione, in particolare nella fase di crisi del ciclo economico, promuovendo dunque una forma di economia mista, ed anticiclica.
La sua posizione è che, appunto, lo Stato debba intervenire in quegli investimenti necessari affinché gli attori di mercato possano tornare ad essere efficaci per garantire la piena occupazione. Egli afferma che sono giustificabili le politiche destinate a incentivare la domanda in periodi di disoccupazione, ad esempio tramite un incremento della spesa pubblica.
Per raccontare parte del suo lucido pensiero riportiamo alcune estratti tra le sue più interessanti citazioni che rappresentino il meglio di un modo sano e costruttivo di pensare economia, sul quale si sono fondate le economie mondiali nazionali del ‘900.
Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non mantiene le promesse. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi.
L’espansione, e non la recessione, è il momento giusto per politiche di austerità da parte del Tesoro.
Lo studio dell’economia non sembra richiedere alcuna dote particolare in quantità inusitate. Si tratta dunque di una disciplina molto facile, a confronto delle branche più elevate della filosofia e delle scienze pure? Una disciplina molto facile nella quale solo pochi riescono a eccellere! Questo paradosso trova spiegazione, forse, nel fatto che un grande economista deve possedere una rara combinazione di doti: deve essere allo stesso tempo e in qualche misura matematico, storico, politico e filosofo; deve saper decifrare simboli e usare le parole; deve saper risalire dal particolare al generale e saper passare dall’astratto al concreto nelle stesso processo mentale; deve saper studiare il presente alla luce del passato, per gli scopi del futuro. Nessun aspetto della natura dell’uomo o delle istituzioni umane gli deve essere aliena: deve essere concentrato sugli obiettivi e disinteressato allo stesso tempo; distaccato e incorruttibile, come un artista, ma a volte anche terragno come un politico.
Se devi alla tua banca cento sterline, tu hai un problema. Ma se ne devi un milione, il problema è della banca.
Quando cambio idea io lo dico; e voi?
Se un determinato produttore, o un determinato paese, taglia i salari, si assicurerà così una quota maggiore del commercio internazionale fino al momento in cui gli altri produttori o gli altri paesi non facciano altrettanto; ma se tutti tagliano i salari, il potere d’acquisto complessivo della comunità si riduce di tanto quanto si sono ridotti i costi: e anche qui nessuno ne trae vantaggio.
Il risultato sarebbe necessariamente un aumento sostanziale del numero dei disoccupati che riscuotono un sussidio ed un calo degli introiti fiscali in conseguenza dei minori redditi e dei minori profitti. Per la precisione, le conseguenze immediate di una riduzione del deficit da parte del governo sono esattamente l’opposto di quelli che si avrebbero se si finanziassero nuovi lavori pubblici aumentando l’indebitamento.
Come abbiamo già visto, la deflazione comporta un trasferimento di ricchezza ai possessori di rendite, e a tutti i detentori di effetti monetari, da parte del resto della comunità; così come l’inflazione comporta un trasferimento di segno opposto. In particolare la deflazione comporta un trasferimento di ricchezza da tutti i debitori (vale a dire: commercianti, industriali e agricoltori) ai creditori; dagli elementi attivi a quelli inattivi.
Le agenda delle cose da fare più importanti dello Stato non riguardano le attività che i singoli individui già svolgono, ma le funzioni che cadono al di fuori della sfera dell’individuo, le decisioni che, se non assume lo Stato, nessuno prende. Importante per il governo non è fare le cose che gli individui stanno già facendo, e farle un po’ meglio o un po’ peggio, ma fare le cose che al presente non vengono fatte per niente.
Giungo alla conclusione che, scartando l’eventualità di guerra e di incrementi demografici eccezionali il problema economico può essere risolto, o perlomeno giungere in vista di soluzione, nel giro di un secolo. Ciò significa che il problema economico non è, se guardiamo al futuro, il problema permanente della razza umana.
Dovremmo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L’amore per il denaro come possesso, e distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita, sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali.
La saggezza del mondo insegna che è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale.
Le idee degli economisti e dei filosofi politici, tanto quelle giuste quanto quelle sbagliate, sono più potenti di quanto comunemente si creda. In realtà il mondo è governato da poco altro. Gli uomini pratici, che si ritengono completamente liberi da ogni influenza intellettuale, sono generalmente schiavi di qualche economista defunto.
Ma questo lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine siamo tutti morti.
È meglio che un uomo sia tiranno con il suo conto in banca che con i suoi concittadini.