Colori, visibile, spettro, luce, metamerismo, occhi
Tra le osservabili fisiche, la luce è certamente quella che in maniera più evidente influenza direttamente ed indirettamente le attività umane. Il ricettore sensoriale che utilizziamo maggiormente è la vista. La luce rappresenta l’elemento naturale che permette di vedere, di percepire e di distinguere le forme, il colore, le distanze, le misure, le proporzioni, l’orientamento, e ci consente anche di provare piacevolezza, emozione, pericolo, acquisire informazioni e conoscenza. Il termine illuminare deriva dal latino (in lumen, alla luce), fa riferimento al portate ciò che è oscuro alla luce: ciò che è luminoso manifesta la sua essenza, ciò che è illuminato può essere visto, perché a fondamento della nostra conoscenza si trova l’esperienza visiva. La parte prevalente delle informazioni che siamo soliti inviare al nostro cervello proviene dal sistema visivo.
La luce è un’onda elettromagnetica generata da una carica oscillante nell’intervallo di frequenze del campo del visibile, che si propaga nello spazio senza bisogno di un mezzo interposto e come tale può essere riflessa, rifratta, o trasmessa. Lo spettro delle onde elettromagnetiche che formano la luce visibile rappresenta l’insieme delle lunghezze d’onda a cui l’occhio umano è sensibile e che sono alla base della percezione dei colori. L’occhio riceve un fascio di raggi luminosi provenienti da ogni punto dell’oggetto; il fascio di luce entra attraverso la pupilla che regola la quantità di luce e di conseguenza la profondità di campo. L’iride si occupa di variare il diametro della pupilla da un minimo di 2mm (se c’è molta luce) a un massimo di 8mm (se c’è poca luce). Il fascio di luce poi attraversa il cristallino – che è una lente biconvessa – il quale concentra i raggi in una zona sulla retina formando l’immagine retinica dell’oggetto. Il cristallino è il responsabile della messa a fuoco dell’immagine e adatta automaticamente la sua curvatura alla distanza dell’oggetto attraverso il “processo di accomodazione”: tutti gli oggetti a distanza maggiore di 6 metri sono visti con nitidezza, mentre per osservare oggetti a distanza minore di 6 metri i muscoli all’interno del corpo ciliare si contraggono aumentando il raggio di curvatura del cristallino che diviene sufficientemente convesso in modo da fornire, anche in questo caso, un’immagine nitida. L’accomodazione dipende in larga misura dall’elasticità del cristallino e quindi dall’età: per questo col passare degli anni è necessario far ricorso agli occhiali per supplire a questa rigidità.
Schematizzando, come funziona la vista?
- La luce entra nell’occhio
- tramite la cornea raggiunge la pupilla che modifica le proprie dimensioni a seconda dell’intensità; in ambienti scuri si dilata e in condizioni di elevata luminosità si restringe.
- Attraverso la pupilla la luce arriva al cristallino, il quale modifica la propria forma per assecondare la messa a fuoco dei raggi luminosi sulla retina, in base alla distanza dell’oggetto osservato.
- I coni e i bastoncelli della retina assorbono la luce e inviano messaggi al cervello attraverso il nervo ottico.
- Il cervello, infine, trasforma questi impulsi in immagini.
La visione del colore è la capacità di un organismo – o di una macchina – di distinguere oggetti basandosi sulla lunghezza d’onda (o frequenza) della luce che questi riflettono, emettono, o trasmettono. Nell’ambito delle frequenze chiamiamo spettro visibile quelle onde che siamo capaci di vedere con i nostri occhi. La luce è caratterizzata da energia elettromagnetica visibile all’occhio umano solamente dopo aver interagito con l’oggetto; quando accade la luce entra nell’occhio dove sono presenti i 3 ricettori: i colori rosso, verde e blu. Qui viene convertita in segnali nervosi che raggiungono il cervello. L’occhio umano utilizza i tre colori primari: le sfumature di questi sono codificate dal sistema visivo nelle varie tonalità. Quando la luce illumina un oggetto, questo assorbe alcune lunghezze d’onda e ne riflette altre. Le lunghezze d’onda che vengono riflesse danno all’oggetto il colore che percepiamo. Se l’oggetto assorbe tutte le lunghezze d’onda, ci appare nero. Per questo motivo, perché assorbono tutte le lunghezze d’onda della radiazione incidente, gli oggetti neri tendono a scaldarsi al Sole più velocemente degli oggetti che riflettono tutta o parte della radiazione, e quindi dell’energia incidente. Un oggetto che riflette una sola lunghezza d’onda, ci sembrerebbe di un colore puro. In realtà gli oggetti restituiscono una complessità di luce, e non un singolo colore puro. Se il nostro sistema visivo potesse vedere l’intera distribuzione spettrale, lunghezza d’onda per lunghezza d’onda, avremmo un sovraccarico sul nostro cervello. Invece, percepiamo una ampia parte ma non tutto. Generalmente, l’occhio umano percepisce meglio la zona del rosso rispetto alle altre radiazioni di colore.
Questo perché accade?
La retina è composta da due tipi di foto-ricettori: i coni (6/7 milioni) e i bastoncelli (circa 110/120 milioni). I coni sono sensibili alle forme ed ai colori e sono di tre tipi, che rispondono a particolari lunghezze d’onda nel campo della luce visibile. Questi fotorecettori, risultano rispettivamente sensibili ad uno stimolo di circa 420 nm (spettro del blu), 530 nm (verde) e 560 nm (rosso).
Quanto appena affermato sulla percezione visiva è sempre vero in condizioni di luce uniforme. Appare meno vero in presenza di fattori di illuminazione particolari. In questi casi si parla di metamerismo.
Il metamerismo è un particolare fenomeno di percezione cromatica che si verifica quando almeno due campioni di colore – detti paio metamerico – appaiono identici se illuminati da un determinato tipo di sorgente luminosa, mentre risultano totalmente diversi se sottoposti ad un altro tipo di illuminazione.
Tale differenza cromatica è il risultato dell’elaborazione degli stimoli visivi da parte del nostro cervello in presenza di tinte ottenute dalla miscela di alcuni pigmenti simili. Si tratta di colori che hanno una composizione spettrale diversa che, però, in alcune condizioni di luce non risulta visibile a causa delle limitazioni percettive dell’occhio umano. I nostri occhi, infatti, riescono a percepire solo determinate lunghezze d’onda, mentre altre risultano invisibili.
Così come gli oggetti reali non riflettono una lunghezza d’onda pura, altrettanto le sorgenti di luce reali hanno una luce composta da una distribuzione complessa di intensità luminose a varie lunghezze d’onda.
I nostri occhi riescono a percepire solo determinate lunghezze d’onda, mentre altre risultano totalmente invisibili a occhio nudo. Le zone dello spettro elettromagnetico che risultano visibili sono solo tre e per ogni zona i nostri fotorecettori hanno una minore o maggiore sensibilità. Ogni pigmento assorbe e riflette lunghezze d’onda predefinite: è proprio nel momento in cui il nostro occhio viene colpito dalla restante luce riflessa che percepiamo un colore anziché un altro.
I colori possono essere misurati e quantificati in vari modi; la percezione dei colori di un essere umano è però un processo soggettivo nel quale il cervello risponde alle stimolazioni prodotte quando la luce incidente reagisce con i diversi tipi di cono presenti nell’occhio. In breve, esseri diversi di specie diverse e persino della stessa specie vedono lo stesso oggetto illuminato o la stessa sorgente di luce in modi diversi.
La radiazione elettromagnetica costituisce uno strumento eccezionale per indagare le proprietà della materia; cioè perturbando un sistema con impulsi elettromagnetici di diversa frequenza è possibile ottenere importanti informazione sulle sue caratteristiche. Lo spettro visibile è quella parte dello spettro elettromagnetico che siamo in grado di vedere. L’ambito che possiamo recepire cade tra il rosso e il violetto includendo tutti i colori percepibili dall’occhio umano che danno vita dunque al fenomeno della luce, come ad esempio la gamma di colori che si osserva quando della luce bianca viene dispersa per mezzo di un prisma. La lunghezza d’onda della luce visibile nell’aria va indicativamente dai 390 ai 700 nm. Tutto quello che è fuori da questo range non siamo in grado di vederlo, o di averne esperienza diretta senza l’uso di strumenti idonei diversi dai nostri occhi.
I primi studi sullo spettro visibile furono condotti da Isaac Newton, nel suo trattato intitolato Opticks, e da Goethe, nel saggio La teoria dei colori. Osservazioni precedenti, però, erano già state eseguite in questo senso da Ruggero Bacone. Newton per primo usò il termine spettro (dal latino spectrum, con il significato di “apparenza” o “apparizione”), in una stampa del 1671, dove descriveva i suoi esperimenti di ottica.
Egli divise lo spettro in sette diversi colori: rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e violetto. La scelta di sette colori non poggiava su basi scientifiche, bensì esoteriche. Faceva riferimento alla connessione tra i colori e le sette note musicali. Considerò anche i pianeti (che a quei tempi erano ritenuti essere sette) e alla divisione del tempo in giorni della settimana (sempre sette). In verità, l’occhio umano riesce solo con difficoltà a distinguere l’indaco dal blu e dal violetto. Oggi molti ritengono di dover eliminare l’indaco dal novero dei colori dello spettro.
Johann Goethe contestò le conclusioni di Newton. Goethe sperimentò che non basta far passare un raggio di luce bianca attraverso un prisma per ottenere i colori, ma che questi diventano visibili solo lungo i bordi di una striscia o una macchia di colore nero, che sia stata precedentemente tracciata sulla parete oggetto dell’osservazione. In tal modo si ottengono due tipi di spettro: quello luminoso, quando il bianco della luce, proiettato a distanza attraverso il prisma, produce un raggio i cui bordi si uniscono progressivamente a formare il verde; e quello oscuro – non tenuto in considerazione da Newton – che si osserva guardando attraverso il prisma una striscia nera, i cui bordi si uniranno progressivamente a formare il porpora man mano che ci si allontana dalla parete. Il prisma, pertanto, non è uno strumento neutro, ma contribuisce all’insorgere dei diversi offuscamenti della luce chiamati “colori”.
«Nella teoria dei colori il prisma era finora uno strumento essenziale ma è merito di Goethe averlo demolito. La conclusione che viene da questo fenomeno è soltanto quella che, siccome nel prisma si mostrano sette colori, questi dunque sono l’elemento originario, e la luce è costituita da essi. Questa conclusione è barbara. Il prisma è trasparente e offuscante […] e offusca la luce secondo il modo della sua figura. […] Ma ora si dice che il prisma non ne è la causa; ma i colori che sono contenuti nella luce, vengono poi prodotti. Sarebbe lo stesso se qualcuno volesse mostrare che l’acqua pura non è originariamente trasparente, dopo aver rimestato un secchio pieno con uno straccio immerso nell’inchiostro, e dicesse poi “vedete signori miei l’acqua non è chiara”.» (Friedrich Hegel, Filosofia della natura, lezioni del 1823-24)
I colori dell’arcobaleno nello spettro includono tutti quei colori che sono prodotti da un raggio di luce visibile, di una precisa lunghezza d’onda (raggio monocromatico o puro). Benché lo spettro sia continuo e non vi siano “salti” netti da un colore all’altro, si possono comunque stabilire degli intervalli approssimati per ciascun colore.
FMG