Riconoscimento Facciale
Tra un “non è possibile, non accadrà mai” e un “sono solo le fissazioni dei complottisti” è accaduto che la tecnologia per il riconoscimento facciale è stata raggiunta, si è diffusa, è stata adottata per gli scopi più vari e viene imposta a vari livelli senza che sia mai sorto un dibattitto di tipo etico, di tipo legale, di tipo pratico. Solamente è accaduto, travalicando qualsiasi libertà personale su una delle più sacre manifestazione del sè: il volto.
Il riconoscimento facciale viene utilizzato in modalità real-time per riconoscere chi è l’essere umano che si trova di fronte al sensore (fotocamera o fotocamera digitale, videocamera, webcam, etc). I dati del volto passano in maniera istantanea sui computer per poterne fare gli utilizzi più stravaganti.
Si può creare un avatar virtuale dell’individuo, animandolo in una simulazione sessuale, in un gioco, in una rappresentazione digitale di tipo divertente. Si sono rapidamente diffuse una quantità elevata di app che catturando il volto lo riposizionano all’interno di fotografie e filmati “divertenti”.
Un volto può essere sostituito ed alterato in un filmato o in una trasmissione in diretta, in tempo reale. In questa maniera, ad esempio, è possibile alterare le espressioni di un oratore, ma anche i contenuti delle proprie dichiarazioni. A titolo sperimentale, ad esempio, un comizio del già presidente degli Stati Uniti Obama è stato modificato in real-time, da un attore che ne modificava l’espressione, il movimento della bocca, e le frasi pronunziate.
Il riconoscimento del volto viene usato per profilare e riconoscere un individuo permettendo di “personalizzare al volo” i messaggi pubblicitari mostrati da display elettronici affinché forniscano contenuti adatti al sesso e all’età di chi guarda, se non proprio adatti a quello specifico essere umano che si trova innanzi al manifesto elettronico, targettizzando i contenuti specificatamente per lui..
In Cina è già stato installato un sistema che – tramite videocamere diffuse nelle strade delle grandi città – scheda milioni di persone. Similmente, le forze di polizia, in vari luoghi pubblici a forte traffico, sono in grado di registrare e monitorare i volti di milioni di esseri umani inconsapevoli di essere violati nella loro intimità, senza che abbiano mai dato il consenso a questo genere di attività.
I volti sono oggetto di interesse delle grandi aziende private in ambito tech, specialmente quelle che operano nel campo delle tecnologie dispositive. Facebook ha attivato l’opzione di riconoscimento facciale di tutte le immagini pubblicate dagli utenti, invadendo la loro privacy, concedendo loro di non rendere attivo il riconoscimento per i tag nelle foto, ma non consentendo il divieto d’essere riconosciuti dalla IA dell’azienda.
Esistono alcune tipologie di captcha con cui l’utente deve essere riconosciuto, e pertanto dichiararsi umano, farsi riconoscere dal software come essere umano. Lo evidenzio meglio: l’essere umano deve dimostrare alla macchina di essere un vivente attraverso un captcha per poter accedere ad alcune funzioni, servizi, etc. Questo è normale.
Mentre può essere divertente pensare che un volto possa essere inserito in un famoso film, ci si chiede se è così divertente l’idea che il proprio voto possa essere inserito nel video di un attentato, di un film porno, o di un evento pubblico in cui non si è stati presenti. Chi ci può tutelare da usi impropri del nostro volto?
Per imprecisati motivi di sicurezza le forze di polizia – in totale assenza di regolamentazioni condivise – catturano le informazioni relative ai volti di chi, ad esempio, manifesta in piazza, manifesta una opinione politica, partecipa ad un corteo, o presenzia ad un evento culturale.
Il riconoscimento facciale, ad esempio, è in uso tra le forze di polizia francesi. Tuttavia, proprio la polizia francese è stata trattata allo stesso modo, ricevendo lo stesso tipo di invasione nella riservatezza del proprio volto. Dalla fine del 2018 e poi per alcuni mesi del 2019, Parigi è stata palcoscenico di scontri e di proteste—a tratti molto violente—scaturite dalle richieste avanzata del movimento dei gilet gialli, in opposizione a provvedimenti imposti dal governo Macron. I poliziotti francesi sono ritratti in migliaia di fotografie, come spesso accade, da parte di giornalisti, manifestanti, o altri. Queste fotografie sono finite su giornali, siti web, pubblicazioni online, come sempre capita.
Paolo Cirio è un artista italiano che lavora anche sulle implicazioni della società dell’informazione. Nel settembre del 2019, mentre insegnava in un’università francese, ha deciso di proporre agli studenti un progetto sul tema della sorveglianza e del riconoscimento facciale, ricorrendo ad un uso artistico del materiale fotografico esistente in circolazione. Così ne è scaturito una installazione denominata Capture Police: una collezione di immagini raffiguranti volti di poliziotti francesi. L’iniziativa non è piaciuta al ministro dell’interno francese che ha provato a censurare e rimuovere l’installazione dagli spazi dell’università.
Cirio ha raccolto svariato materiale fotografico online che ritraeva i poliziotti. Ne ha creato un database di 4000 immagini raffiguranti 1000 volti e li ha poi pubblicati su un sito. Non ha usato un algoritmo per identificare i volti, ma usato le reti sociali e la componente umana, affinché venisse associato un nome e cognome, le generalità da parte di chi li riconosceva. Lo scopo evidente era evidenziare quanto queste modalità possano essere invasive e pericolose, come correlare volti e nomi non sia un fatto auspicabile. Oltre la pubblicazione su un un sito web, il progetto è andato oltre. Hanno realizzato una performance per le strade di Parigi, stampando ed affiggendo alcune foto dei poliziotti presenti nel database. Tappezzare le strade di fotografie di poliziotti è stata un’azione fortemente provocatoria per richiamare l’attenzione sul riconoscimento facciale e sulla necessità di vietarlo.
Facciamo una ulteriore considerazione.
Quando incontriamo qualcuno che non conosciamo traiamo molte informazioni dal suo volto, dalle espressioni, dalla sua mimica. Continuiamo a farlo nelle relazioni interpersonali, lavorative, amorose, affettive. La capacità espressiva umana, ora, può diventare nutrimento per intelligenze artificiali, per interpretare emozioni, attitudini, intenti.
Il volto è una delle parti più importanti che l’essere umano usa per comunicare, per riconoscersi e fidarsi. La prima cosa che facciamo con un estraneo, infatti, è guardarci in faccia, decidendo se fidarci. La faccia, più che la voce, trasmette contenuti che sono più difficili da nascondere o alterare. Nel momento in cui saremo coscienti di essere costantemente monitorati impareremo a tenere sotto controllo la nostra espressività? Ci verrà sottratto un così importante strumento espressivo?
I volti sono le parti più pubbliche degli esseri umani e i loro tratti servono come metriche per il giudizio sociale. Il riconoscimento facciale è troppo pericoloso in quanto può trasformare uno dei nostri principali mezzi di socialità contro di noi, trasformando i nostri volti in dispositivi di tracciamento piuttosto che nella componente centrale della manifestazione e dell’identificazione di noi stessi. Non si tratta solo di polizia o aziende che utilizzano il riconoscimento facciale per la sicurezza o l’estrazione di dati, ma è anche il modo in cui questa tecnologia diventa culturalmente pervasiva e normalizzata, inducendo alla fine paura nella vita di tutti.
Al contrario delle facili attribuzioni di etichette quali “complottisti“, ci si sta rendendo conto che queste tecnologie non solo esistono e sono utilizzate, ma sono estremamente diffuse. Si tratta di tecnologie così comuni che chiunque può avere il proprio software di riconoscimento facciale.
La tecnologia di riconoscimento facciale automatizzato è già stata implementata negli Stati membri dell’UE senza consultazione pubblica. Così stanno sorgendo delle forme, seppure morbide e tardive, di resistenza. Fossero utili anche solo per sollevare un minimo di dibattito su queste tematiche.
Un petizione denominata “ban-facial-recognition-europe” introduce una campagna per il divieto permanente del riconoscimento facciale utilizzato per l’identificazione e la profilazione in tutta Europa. L’iniziativa è volta ad evidenziare la minaccia per i diritti umani e per la società civile, e stimolare l’attività legislativa per il divieto immediato e permanente di identificazione e profilazione tramite la tecnologia di riconoscimento facciale.
In Italia, dal 2009, una legge in materia di sicurezza pubblica – legge 23 aprile 2009, n. 38 – ha dato in mano ai Comuni la possibilità di installare videocamere per la tutela della “sicurezza urbana” negli spazi pubblici. Le nostre città sono stracolme di telecamere pubbliche e private che catturano la nostra immagine a prescindere dalla nostra volontà. Per il semplice fatto di muoverci per strada siamo soggetti ad essere ripresi. Questo sistema può trasformarsi in un volano per la diffusione del riconoscimento facciale. Ci sono Comuni che chiedono di inserire anche le telecamere dei privati nella rete di videosorveglianza a disposizione delle forze dell’ordine.
Le immagini raccolte da tutte queste telecamere, unite a quelle dei negozi, possono già essere sfruttate nelle indagini grazie al sistema di riconoscimento facciale utilizzato dalla polizia scientifica, il SARI: programma della Polizia Scientifica Italiana specializzato nel confronto di immagini delle telecamere di sicurezza con i volti presenti nei database.
Le incertezze normative implicano spesso inapplicabilità di questi strumenti, oltre incertezze sul loro uso. Chi scrive ritiene che tali tecnologie dovrebbero essere vietate ancor più che regolarizzate. Più che della concretizzazione di scenari distopici si percepisce il bisogno di maggiore etica, di relazioni in cui sia dato spazio all’umanità, di contesti favorevoli a modalità comunitarie, aggreganti, volte al benessere sociale condiviso.
Esistono decine di applicativi liberamente utilizzabili da chiunque, che collegandosi a vari database – principalmente Facebook o Linkedin – possono restituire un nome associandolo al volto presente in una foto. Tra le tante, ad esempio, FindFace è un’applicazione capace di riconoscere il viso in una foto con una percentuale di successo del 70% dei casi. Si basa sulle informazioni caricate all’interno del social russo Vkontakte che vanta oltre 210milioni di iscritti. Name Tag è l’app per iOS ed Android sviluppata dall’azienda FacialNetwork ed è in grado di pescare tra le foto presenti sui social network per dare tantissime informazioni a chi compie la ricerca. Avendo una foto di una persona si potrà infatti venire a conoscenza di dati come l’indirizzo, il titolo di studio, il lavoro ed anche la situazione sentimentale se questa è presente ad esempio su Facebook.
Google offre già la possibilità di fare una ricerca specifica sui volti delle persone. Per ottenere una lista di immagini scremate in base a ciò che state facendo basterà inserire il nome che volete su Google Immagini, cliccare poi sul tasto Strumenti che trovate sulla destra e sotto “Tipo” spuntare “Volti”.
Esistono applicazioni che provano ad indovinare con una buona capacità di successo, il livello di parentela tra due volti, etc. Sono in uso telecamere e sistemi di riconoscimento facciale termico, prevalentemente in ambito militare. Sistemi idonei a andare sotto il livello della pelle, e intercettare informazioni a livello organico, sanguigno, etc. per riconoscimenti e valutazioni di tipo ancora più invasivo. Il riconoscimento facciale viola il diritto alla dignità in quanto utilizza le qualità, i comportamenti, le emozioni o le caratteristiche delle persone contro di loro in modi che non sono giustificati o giustificabili.
A titolo esplicativo riporto qui un breve estratto di un testo sul riconoscimento facciale di Amazon:
“Le funzionalità di analisi facciale, come quelle disponibili su Amazon Rekognition, permettono agli utenti di capire dove si trovano le facce in un’immagine o un video e quali caratteristiche abbiano. Ad esempio, Amazon Rekognition può analizzare caratteristiche come occhi aperti o chiusi, umore, colore dei capelli e geometria ottica del volto. Le caratteristiche rilevate diventano sempre più utili per i clienti che devono organizzare o cercare in milioni di immagini in pochi secondi con tag di metadati (ad es. felice, occhiali, fascia di età) o identificare una persona (ovvero riconoscimento facciale usando un’immagine fonte o un identificatore univoco).“
FMG