Pechino Pieghevole
Hao Jingfang è nata a Tianjin , il 27 luglio 1984. Dopo il liceo ha studiato e si è laureata in Fisica, poi ha lavorato, all’università Tsinghua, nell’area della fisica. Dopo aver constato l’enorme disuguaglianza economica esistente in Cina, ha deciso di studiare Economia presso Tsinghua University ed ha conseguito un dottorato nel 2013. Da allora ha lavorato come ricercatrice presso la China Development Research Foundation.
Hao Jingfang è nota per essere divenuta una scrittrice di fantascienza di livello internazionale e nel 2016 ha vinto il premio Hugo il più prestigioso premio letterario di genere – Hugo Award for Best Novelette, la prima scrittrice asiatica a vincerlo. Il libro con cui ha cattura l’interesse internazionale si intitola “PECHINO PIEGHEVOLE”, un testo pregevole nel filone di una fantascienza iperrealista, di denuncia sociale, simbolica.
Nel suo romanzo Pechino è una metropoli che ha abbandonato qualsiasi velleità d’essere brillante, saggia, all’avanguardia e funzionale. Niente di tutto questo. Catastrofe ecologica, tecnologie di sorveglianza e disuguaglianze sociali permeano la metropoli. Pechino è divisa in tre spazi/tempi e le ventiquattr’ore di ogni giorno sono state sezionate per salvaguardare il tempo e l’aria che respira l’élite: una minoranza degli ottanta milioni di persone che abitano la metropoli. Tutti gli altri si spartiscono quello che rimane.
Pechino si flette e ricompone durante tutte le giornate, come fosse un gigantesco puzzle a tessere mobili, un’architettura materiale e sociale che, manipolato lo spazio-tempo, si riconfigura per garantire la sopravvivenza e la coesione sociale a vantaggio della sicurezza del sistema pregresso.
Muta la struttura della città, mutando lo spazio ed il tempo, e modificando configurazione, con lo switch continuo delle tre classi sociali che caratterizzano la città: i poveri, i mediani, l’élite.
L’ingiustizia è sistemica, la ribellione futile, così lontana dall’essere concretizzabile che non sfiora nemmeno la mente del protagonista. Proprio inconcepibile.
I poveri ed i proletari – a cui è riservato il lavoro più duro, minori risorse e cibo scadente – lasciano spazio alla classe sociale costituita da una popolazione più intellettuale e riflessiva, che lavora in piccoli uffici e vive in quartieri riqualificati. Questi stessi lasceranno il posto ai decisori, una ristretta élite che assumerà ogni genere di decisione sulle vite di tutti, intanto che le altre classi sociali dormono in una camera con un gas narcotizzante. Ecco che spazio e tempo vengono concepiti e descritti come dispositivi di diseguaglianza, i medesimi che si possono osservare nella Cina contemporanea.
(Il concetto di città flessa è stato già visivamente esplorato nel film Inception)
Sono più preoccupata per la disuguaglianza, e lo sarò ancora dato che mi sembra essere un fenomeno eterno. Non importa quanto sia avanzata la scienza e la tecnologia umana, la disuguaglianza esisterà ancora. Nel romanzo, il concetto di “divisione di tempo e spazio” riflette la disuguaglianza. Il tempo e lo spazio costituiscono gli ambiti di vita basilare degli esseri umani: se vengono “contorti”, significherà che la disuguaglianza ha invaso ogni angolo della nostra esistenza.
In effetti nella vita urbana moderna alcune persone vivono negli angoli del tempo e dello spazio di altre persone. Non possono uscire e muoversi a piacimento durante il giorno, né possono vivere nella zona in cui soggiornano altre persone. Questo fenomeno è già esistito nelle nostre città, soprattutto se penso al settore delle pulizie o dell’edilizia. Questo dà l’idea di come persone possano già vivere in tempi e spazi diversi, evidenziando la frammentazione delle sezioni sociali della folla.
Hao esplora i confini, le delicatezze, i punti di rottura, le fragilità umane alle prese con gli spettri del cambiamento e del futuro preconfezionato, l’intelligenza artificiale e l’automazione, costruendo una narrazione attenta, pervasa di sensibilità per quest’epoca così segnata dall’incertezza, dalla solitudine, dalla mancanza di punti di riferimento, e da un generale senso di disorientamento. Banalmente, abbiamo chiamato questo periodo storico che viviamo postmodernità.
Cioè cosa? Qualcosa che non è la modernità, che è post di qualcos’altro, ed è così indefinita da non poter dire che questo: è ciò che viene dopo a quello che conoscevamo e che esisteva prima, ciò per il quale non abbiamo ancora certezza di cosa sia. Sono esattamente gli ambiti sotto le lenti di osservazione di Higorà, quello proviamo a comprendere.
Dall’apertura del libro:
Era passato da casa a fare una doccia e a cambiarsi dopo il turno di lavoro alla discarica, si era infilato gli unici vestiti decenti che possedeva, un paio di pantaloni marroni e una camicia bianca, arrotolando le maniche sino al gomito per nascondere i polsini ormai lisi. Era un quarantottenne celibe. Non aveva qualcuno che si prendesse cura di lui e nemmeno l’età per preoccuparsi ancora del proprio aspetto. Erano anni che andava avanti con quell’abbinamento. E comunque usava quegli abiti raramente, per poi piegarli e rimetterli via appena rientrava a casa. Lavorando in una discarica, non aveva alcun bisogno di vestirsi bene, li indossava nelle occasioni speciali, magari per il matrimonio del figlio di un amico. Quel giorno doveva presentarsi da gente che non conosceva, quindi voleva apparire in ordine e non trascinare con sé il puzzo fetido di cinque ore filate in discarica.
La modernizzazione della Cina è un processo di urbanizzazione; solo che non è stata ancora completata. In altre parole, la nostra urbanizzazione ha creato molta forza lavoro, ma non cittadinanza. L’edilizia, la costruzione urbana e quella industriale del nostro paese si basano sull’ingresso di molte persone “rurali” nella città, fornendo così una ricca forza lavoro e una comunità ad alta densità. Ma in questo caso, solo un numero esiguo di persone può essere ospitato dal sistema di servizio pubblico della città. Le infrastrutture, gli alloggi, le risorse pubbliche, l’istruzione, le cure mediche, le strutture culturali e così via, in una città possono ospitare solo un certo numero di persone. Molte delle persone forniscono solo lavoro, ma non possono essere ospitate dalle strutture pubbliche della città e non potevano ottenere lo status di cittadini.
Penso che la fantascienza sia la migliore incarnazione della parola “alienazione”. Crea una situazione per abbattere tutto ciò che conosci nella tua vita quotidiana e riesaminare ciò a cui sei abituato. La fantascienza però non può aiutare le persone in modo sostanziale, ma può fornire alcuni riferimenti, materiali o cose simili a specchi in modo che le persone possano pensare a molte cose. Alla fine, le persone possono così definirsi da sole.
FMG