Stupidità collettiva
L‘origine del concetto di intelligenza collettiva si può fare risalire al 1785, al teorema della giuria elaborato dal marchese Nicolas de Condorcet (matematico, economista, filosofo, religioso e politico rivoluzionario) nel suo Trattato sull’Applicazione dell’Analisi alla Probabilità delle Decisioni a Maggioranza. Nel suo scritto de Condorcet evidenziava l’utilità del principio maggioritario che caratterizza i governi democratici, secondo il quale – sinteticamente – le decisioni vengono assunte attraverso la maggioranza di coloro che votano. Siamo individui, ma siamo anche comunità.
Secondo il religioso francese, il progresso della nascente infrastruttura delle telecomunicazioni avrebbe condotto a una “mente planetaria” o meglio una “rete nervosa planetaria” alla fine della quale ci sarebbe stato il cosiddetto “Punto Omega”, cioè l’unione con il Cristo Cosmico. Punto Omega è il termine pensato per descrivere il massimo livello di complessità e di coscienza verso il quale sembra che l’universo tenda nella sua evoluzione. L’informatico e ricercatore nel campo dell’intelligenza artificiale Jürgen Schmidhuber è l’uomo che ha sviluppato le reti neuronali ricorrenti LSTM (“Long Short-Term Memory”) alla base dell’evoluzione del sistema di riconoscimento vocale Google. Questo modello consente alla macchina di imparare suoni e parole attraverso l’addestramento continuo. Queste reti neuronali sono simili alle strutture del cervello umano. Schmidhuber usa il termine Punto Omega per descrivere ciò che egli sostiene sia “il momento in cui credo avremo una vera superintelligenza artificiale, che cambierà tutto”.+ (Intervista a “Lab” di Repubblica del 2018).
L’idea dell’esistenza di un’intelligenza non meramente individuale fu concepita da Karl Marx. Egli faceva riferimento al concetto di general intellect con il quale individuava un genere di lavoro astratto, di tipo sociale, che ha le sue basi nella conoscenza impersonale sedimentata nella società e nella cultura condivisa in cui si forgiano i singoli individui. Si tratta di una combinazione di competenza tecnologica e intelletto sociale, o conoscenza sociale. Secondo questa idea di Marx, il sapere si accumula nella società e, prendendo atto di questa forza, può rimettere in discussione i rapporti sociali basati sul singolo.
Ancora, l’entomologo William Morton Wheeler nel 1911 osservò che individui apparentemente indipendenti possano collaborare strettamente tanto da divenire indistinguibili da un unico organismo. La maturazione di questo concetto si consolidò dall’osservazione delle formiche e di come agiscano similmente a delle cellule di un’unica entità, a cui fece riferimento con il termine “superorganismo” Grazie a questa intuizione, uno degli sviluppi più recenti dell’intelligenza collettiva riguarda proprio la riproduzione computazionale del comportamento degli insetti sociali come api o formiche.
Émile Durkheim (sociologo, filosofo e storico delle religioni francese) introduce il termine “coscienza collettiva” per indicare l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una società e spiega che per capire la società bisogna partire da un gruppo di organismi legati da vincoli di solidarietà. Pare interessante ricordare l’analisi del reato che Durkheim compie.
Quando nasce l’idea secondo cui un’azione può essere classificata reato? Quando una legge sociale viene imposta per definire la sua violazione come reato. Quando questa legge viene imposta noi ci troviamo nella condizione secondo cui c’è la necessità di impedire ad alcune persone di rivendicare qualche cosa che ritengono un loro diritto; cioè si vuol impedire a delle persone di compiere azioni che entrano in conflitto con gli interessi di altri che hanno la forza per imporre loro di non farle. Per ogni reato si infligge una pena poiché si sono violate le coscienze collettive.
Nel 1935, l’ecologo Arthur George Tansley coniò il concetto di ecosistema, che definì come l’insieme delle comunità di organismi viventi che interagiscono con l’idrosfera, l’atmosfera e la litosfera, creando delle interazioni reciproche che si mantengono in un equilibrio dinamico al pari di un sistema coeso. Lo scrittore di fantascienza H. G. Wells, nella raccolta di saggi World Brain, ipotizzava la nascita di un cervello mondiale, un sistema di conoscenza unificato contenente tutto il sapere umano e liberamente accessibile da chiunque. Lo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke nel 1962 nel suo Profili del Futuro descrive un supercomputer che diviene il principio organizzativo del World Brain immaginato da Wells. Ancora Isaac Asimov nel suo Fondazione e Terra, 1986, fa riferimento a Gaia, un pianeta vivo, dotato di memoria collettiva.
Il termine «memoria collettiva» era stato coniato negli anni venti del Novecento da Maurice Halbwachs in estensione e contrapposizione al concetto di memoria individuale. La memoria collettiva è sia esterna sia interna all’individuo in quanto condivisa, trasmessa e anche costruita dal gruppo o dalla società.
L’espressione che abbiamo sin qua utilizzato “intelligenza collettiva” è stata definita per la prima volta da Douglas C. Engelbart nel 1962, in un articolo dal titolo Augmenting Human Intellect. A Conceptual Framework, ma ha trovato sua ampio utilizzo e concettualizzazione in chiave moderna grazie agli studi del filosofo francese Pierre Lévy.
Jean Piaget, psicologo, biologo, pedagogista e filosofo, si è occupato dello studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza nel corso dello sviluppo.
Egli affermò che una delle caratteristiche morali di chi ha sviluppato l’intelligenza ai massimi livelli è la ricerca di soluzioni collaborative.
I momenti più brillanti della storia dell’umanità sembrano insegnarci che gli individui che chiamiamo “geni” non sono quasi mai figure isolate o sconnesse dal sapere della collettività. Spesso questi individui sono spesso in contatto con uomini e donne altrettanto dotati intellettualmente.
Quando entriamo in contatto con menti intelligenti, anche la nostra intelligenza viene potenziata. La storia stessa della scienza è una testimonianza concreta di intelligenza collettiva. I progressi, le scoperte e le intuizioni di alcuni sarebbero impossibili da realizzare senza quelli di altri, ogni collegamento, ogni apporto, fornisce gli elementi fondamentali per passi successivi della conoscenza.
Nel saggio del 1994 L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Levy ripercorre le riflessioni e le indagini che ha condotto a partire dai primi anni novanta. Secondo il filosofo francese, la diffusione delle tecniche di comunicazione su supporto digitale ha permesso la nascita di nuove modalità di legame sociale, non più fondate su appartenenze territoriali, relazioni istituzionali, o rapporti di potere, ma sul radunarsi intorno a centri d’interesse comuni, sul gioco, sulla condivisione del sapere, sull’apprendimento cooperativo, su processi aperti di collaborazione. Egli afferma che Word Wide Web non è soltanto una enorme massa di informazione, è l’articolazione di migliaia di punti di vista diversi. “Credo che le nuove tecnologie di comunicazione e, in particolare, le tecniche di comunicazione su supporto digitale aprano prospettive completamente nuove. Quello che tento di fare è di vedere quali sono, fra tutte le possibilità, quelle più positive da un punto di vista sociale, culturale e politico. Mi sembra che questo dell’intelligenza collettiva sia un vero e proprio progetto di civilizzazione che parte dalle nuove possibilità che si stanno aprendo. Che cos’è l’intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che l’intelligenza è distribuita dovunque c’è umanità, e che questa intelligenza, distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l’intelligenza collettiva”.
Questo fenomeno dà vita all’idea di “intelligenza collettiva”, ossia una forma di intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta ad una mobilitazione effettiva delle competenze. Secondo Levy la cybercultura realizza un avvicinamento delle persone: avvicina coloro che si muovono nella stessa sfera di interessi; nel cyberspazio possono contattarsi realmente. Non c’è perdita della realtà o perdita del territorio o perdita del corpo.
La pensa in maniera diversa, non necessariamente differente, l’Accademia Higorà che in Relazioni umane e tecnologie dispositive afferma l’altro muta [sui social] in un impercepibile acorporeo, un distante apparentemente vicino, una presenza non compresente. Il simulacro digitale dell’altro non è l’altro, ma una sua rappresentazione, una periferia tecnologica di una pelle posticcia.
Il concetto di intelligenza collettiva può essere studiato come esempio particolare di manifestazione di comportamento emergente che ha luogo nei sistemi dinamici non lineari come, ad esempio, gli stormi di uccelli o i banchi di pesci o i sistemi frattali. Ispirandosi all’idea del sociologo del 1800 Herbert Spencer – teorico del darwinismo sociale – secondo cui la società è un organismo, dalla metà anni novanta si parlerà ufficialmente e diffusamente di un global brain, dando seguito alle intuizioni di tanti studiosi ma anche di tanti scrittori di fantascienza.
La capacità di intravedere e trovare delle soluzioni subisce l’influenza di chi abbiamo intorno. In un certo senso, essi stimolano o deprimono il nostro intelletto. In sistemi di questo genere le parti atomiche che rappresentano gli elementi primitivi e costitutivi dell’insieme, prese a sé stanti, possiedono proprietà e funzionalità che le contraddistinguono in maniera univoca e lineare. Ma nel momento in cui un numero elevato di questi elementi primitivi si aggregano in modo tale da formare un sistema e raggiungono una soglia critica, per effetto delle relazioni che si stabiliscono fra di essi, cominciano a manifestarsi nell’aggregato complessivo delle proprietà e dei comportamenti spesso di tipo non lineare, di cui non si aveva traccia negli elementi atomici e che denotano quindi il cosiddetto comportamento emergente. Si ha un comportamento emergente ogni qualvolta una configurazione di alto livello si origina a partire dalle migliaia di interazioni semplici che avvengono tra agenti locali. L’emergenza è una proprietà che non può essere ritrovata nelle componenti individuali di un sistema, in quanto si genera esclusivamente grazie all’interazione delle sue parti.
Presi singolarmente, una formica, un pesce o un neurone non sono particolarmente intelligenti. Tuttavia se un numero abbastanza elevato di elementi semplici interagisce e si auto-organizza, può attivarsi un comportamento collettivo unitario, complesso e intelligente, definito anche swarm intelligence. Se questo comportamento ha anche un valore adattativo, ci troviamo di fronte ad un “fenomeno emergente” come una colonia di formiche o il nostro cervello.
Nell’ambito dell’intelligenza artificiale e della robotica, il concetto di swarm intelligence – un’intelligenza emergente collettiva di un gruppo di agenti semplici – ha offerto un modo alternativo di progettare i sistemi “intelligenti”, nei quali l’autonomia, l’emergenza e le funzioni distribuite sostituiscono il controllo, la programmazione e la centralizzazione. L’intelligenza collettiva può essere interpretata, alla luce di queste riflessioni, come appunto un aggregato sistematico di intelligenze individuali, le cui relazioni reciproche e la cui collaborazione producono effetti massivi a livello culturale, sociologico, politico e antropologico di tipo emergente e difficili da studiare con i criteri applicati sui singoli individui che ne fanno parte.
Studiosi come Peter Russell o Leonardo Boff sostengono che la complessità crescente dei mezzi di comunicazione, rendendo le persone sempre più interdipendenti tra loro, sta creando le condizioni per la nascita di un cervello globale in cui la Terra potrà essere cosciente di se stessa.
Tuttavia, il fatto che tali relazioni siano subordinate proprio alla crescente complessità dei mezzi di comunicazione, il “cervello globale” verso cui si va non è quello della Terra ma di organizzazioni volte alla conduzione delle relazioni e delle comunicazioni tra gli esseri umani all’interno di piattaforme digitali.
L’idea di confondere il digitale con la Terra è una distorsione del pensiero in cui è preferibile non cadere.
Lo scrittore studioso di cultura digitale e cofondatore della rivista Wired, Kevin Kelly nel suo Out of Control: The New Biology of Machines, Social Systems, and the Economic World pubblicato nel 1994 sostiene che macchine artificiali e sistemi sociali stanno raggiungendo un livello di complessità tale, che a breve non saranno più distinguibili da apparati biologici. Riconosce che quest’ultimi sono stati finora la tecnologia esistente più complessa: le invenzioni umane si sono infatti potute evolvere copiando le strutture esistenti in natura. Kelly, a tal proposito, parla di una sorta di mente globale che emerge da un’integrazione tecno-culturale di rete. Parla di una sorta di mente globale che emergerà dall’unione tra cervelli umani e congegni capaci di autogoverno e di autoreplicazione celebrando una discutibile idea di transumanesimo verso il quale convergere. Il futuro è un territorio inesplorato, costruire il quale passa dalla capacità di immaginare in maniera creativa, non necessariamente all’interno di un pensiero collettivo al momento prevalente. Il pensiero collettivo non è, di per sé, libero ed autonomo ma, al contrario, può essere influenzato ed indirizzato dai mezzi di comunicazione che consentono gli scambi di idee ed intelligenze tra esseri umani sulle piattaforme digitali.
Molti studiosi hanno analizzato il modo in cui l’intelligenza collettiva contribuisce al trasferimento di conoscenza e potere dal singolo al collettivo. Come l’intelligenza, però, anche la stupidità può essere un fenomeno collettivo.
FMG