Dove sta la verità digitale?
Sul social TikTok si è rapidamente diffuso un video di Tom Cruise uno degli attori più noti di Hollywood, di ogni tempo. Nel breve video di poco più di un minuto Cruise si esibisce in un trucco di magia con una moneta. Inoltre, finge di cadere, si alza, riserva uno spazio per raccontare un aneddoto sulla Russia e si mostra mentre gioca a golf.
Nei fatti, mostra se stesso in tre diverse manifestazioni della sua vita, palesandosi ai suoi innumerevoli ammiratori sparsi in tutto il mondo. Che bello!
Il video è un falso, uno dei tanti falsi che ci portano ad interrogarci su quanto sia credibile tutto ciò che leggiamo, ascoltiamo e vediamo attraverso i computer. Il mediato assume il senso del verosimile, mai del vero. Ciò che l’esperienza diretta, organica, esperienziale non riconosce come autentica e personale è – conseguentemente – dubbia.
Non ha molto senso, a mio avviso, analizzare nei particolari i difetti di credibilità del video proposto. È una realizzazione valida, non perfetta, con un taglio amatoriale.
Nonostante la sostituzione del viso sia effettuata in maniera realistica, se si fa un’analisi sui singoli frame è possibile ricontrare, qua e la, varie imperfezioni. Si può discutere sulla conformazione fisica o sull’altezza dell’attore, sull’errata configurazione della mappatura del volto o qualsiasi altra cosa. Non importa poi tanto. Una produzione più attenta avrebbe potuto superare quei difetti che rendono, con una certa attenzione, riconoscibile il falso.
Il punto è un altro! Come possiamo riconoscere ciò che è vero da ciò che non lo è? Come possiamo dare un nome a quello che vediamo? Come possiamo formare conoscenza, opinione ed idee su quello che è mediato digitalmente?
Semplicemente non possiamo, non potremmo, persino non dovremmo.
Dove sta la verità digitale?… La tecnologia da una parte, la lentezza o l’assenza di disciplina normativa dall’altra, impediscono a ciascuno di avere gli strumenti che assicurino un minimo di attribuzione di credibilità a quello che arriva dai canali digitali.
La sacralità della privacy, persino della propria immagine è stata sacrificata – in assenza di qualsiasi dibattitto concretamente fattivo – sull’altare della velocità elettronica, della condivisione digitale, del crollo delle riservate intimità, della forzata messa a disposizione di ogni genere di dato, informazione, misura, riferimento: persino il volto.
Sia chiaro: non importa nemmeno la fonte di provenienza di una informazione, di una notizia. Non esistono più fonti così autorevoli da poter essere riconosciute come credibili e veritiere. Quindi siamo soli?
Soli, innanzi a tutta questa valanga di conoscenza ed informazione mediata che arriva dal web, dai canali digitali e da tutti gli strumenti di comunicazione veicolati dalle tecnologie dispositive?
Si. La risposta è si. Nel modo digitale non abbiamo strumenti di certezza. Abbiamo indicatori, niente di più. Persino i siti che si occupano di svelare quale notizia è falsa o vera sono, essi stessi, non credibili.
Quindi?
Quindi, per quanto fallaci, assumono rilevanza i nostri strumenti di conoscenza diretta, personale, individuale: i nostri sensi. L’esperienza diretta è credibile. Ciò che vediamo con i nostri occhi, senza mezzi che medino ciò che vediamo, è più vero di qualsiasi altra immagine che ci arrivi da un monitor o da un display. Tertium non datur, non oggi almeno.
Fidarci esclusivamente dei nostri sensi ci rende soli, isolati e fuori dal flusso globale e globalizzante di tutto ciò che accade. Tutto, tranne la fiducia.
Ecco. La relazione interpersonale, le relazioni umane fondate su affettività, riconoscibilità e fiducia assumono il senso della credibilità.
Un fatto è credibile nella misura in cui ho fiducia nell’essere umano che me lo passa. Così l’esperienza diretta sensoriale mia, intimamente mia, si accresce e si arricchisce con quella che proviene da un altro essere umano verso il quale nutro fiducia.
Nell’esplosione delle tecnologie dispositive che proliferano in un flusso incontenibile di informazioni “incredibili”, forse, c’è l’occasione per tessere e ritessere relazioni umane fondate sulla conoscenza diretta, la fiducia, la condivisione e la vicinanza, che siano fondative di comunità di prossimità.
L’esatto opposto della globalizzazione.
È vero? È così? Sarà così? Non ho la più pallida idea, però lo possiamo scoprire insieme.
FMG